sabato 16 febbraio 2013

Sanremo uguali, futuro monotono del verbo "sanremare"

SANREMO UGUALI
futuro monotono del verbo “sanremare”
L’unica magia del Festival di Sanremo è che riesca ancora a far parlare di sé. Nonostante presunti e cagasottevoli segnali dell’imminente fine del mondo, con i russi sdrumati dalle schegge di meteoriti ed un Papa che si ripara dall’apocalittica “pioggia di fuoco” rintanandosi definitivamente in un convento e nonostante delle imminenti elezioni dove andremo a votare degli utopistici e twitterosi risolutori dell’irrisolvibile, Sanremo riesce ancora a far parlare di sé. E riesce a far parlare di sé nonostante non ne abbia motivi essendo la fedele copia degli ultimi dieci Festival di Sanremo con un’affannosa, ansiosa ed ansiogena ricerca di idee nuove che si traduce o con la ripetizione delle stesse o con degli eccessi a mascherare il terrore di un poco share causato dall’orripilante normalità. I cantanti giovani non cantano più, stridono melodie afflitti da coliche renali e s’atteggiano troppo, narcisi – sembra girino già un videoclip durante quella che dovrebbe essere una comune esibizione sul palco. Il grezzume di molti, Emma, complici i suoi braccioni, non riesco a visualizzarla se non ad impastare le orecchiette. Mengoni, uno Scialpi con qualcuno che gli ha infilato una manciata di spilli nelle mutande prima di salire sul palco.
Non discuto i cachet dei conduttori, sarebbero fessi a non prendere tutti quei soldi e se glie li danno, beati loro, vuol dire che se li meritano, piacciono – non so perché – comunque piacciono e ciò è sufficiente. Fabio è l’antitesi del conduttore, goffo, di prestanza dimessa, non rasserenante, un viso tutt’altro che umile che puzza di arroganza “falsomodesta” a chilometri di distanza. La Littizzetto è simpatica ma per cinque minuti – non di più, i suoi tempi comici sono dei normalissimi tempi comici, raramente improvvisa, è buffa, ma non basta essere buffi per essere Tina Pica.
Nel Festival di Sanremo di naturale non c’è più nulla, un esempio la Standing Ovation a Pippo Baudo, c’è più spontaneità nella maggior parte dei pianti in un funerale.
La qualità della giuria di qualità è rappresentata dalla velocità in cui è stata scelta, i soliti amichetti di sinistra tumichiamiqui e poi iotichiamolà, fossero stati amichetti di destra non cambiava nulla. E ci sono la Dandini che imperterrita vuole fare l’eterna simpatica e finto brutta che si crede figa, ma copriti ‘ste orecchie di cocker, vai per i sessant’anni. Lo scrittore Giordano, l’iperprotetto di Gramellini (fratellino di Fazio), il Culicchia del futuro, il Moccia di quelli che non leggono solo Moccia e rompono i moccioni. Neri Marcorè che “ha accettato di sostituire Verdone all’ultimo momento che non è potuto venire per un ascesso ….. (doveva far finta di giudicare una gara canora non una gara di cucina dove si mangiavano i torroni) ed intanto presenta il suo nuovo lavoro e probabilmente lo vedremo di nuovo a presentare il Primo Maggio e sempre gli spot della Tim, la stessa coerenza di un Gennaro Gattuso a Quark. Il maestro Piovani, una brutta copia di Morricone, che si crede Chopin ed è poco di più di Paolo Vallesi ma fa la faccia da intellettualoide che soffre e quindi è un genio, ma basta …..
E poi, la serata del Sanremo Story. Mi chiedo, ma con tante di quelle melodie stupende che sono partite da Sanremo, come cappero si fa considerare memorabili Per Elisa di Alice e Cosa hai messo nel caffè di Riccardo Del Turco. Tra parentesi, su quest’ultima, non si allarmino i liguri che durante l’esibizione della stessa hanno avvertito delle scosse telluriche, erano i passi di Malika Ayane e i suoi inverosimili polpaccioni. Il Festival di Sanremo non è più nulla, anche se i telespettatori diventassero 50 milioni, non è più nulla. Probabile che stasera me lo guardi. Però.