Culicchia, eh?
Sabato mattina, ero in auto, ascoltavo Radio 24. Una stazione su cui mi sintonizzo volentieri, mi piace perché parla molto, spesso di cose interessanti e soprattutto perché lo fa senza urlare. Era più o meno mezzogiorno, un’afa stordente, complice l’aria condizionata, intravista e vissuta solo fuori dai vetri e dei primi languorini che ottimisticamente presagivano quello che , a breve, sarebbe stato un seducente e poco invadente pranzetto con la mia compagna a base di grano Barilla, desuetamente condito con del pesto e del pomodoro fresco, il tutto iper-gustato con un mix non quantificabile di spezie garbatamente defenestrate da colorati barattolini presi a “muzzu” da sopra la mensola .
Compagni di Viaggio era il programma che mi teneva compagnia e riusciva a sedarmi l’ansia del sempre troppo traffico e del continuo cantierume che ininterrottamente fodera le strade della mia città. La grazia emotiva e l’assenza di paturnie, fatto di cui mi accorsi dopo, era dovuta più che altro al brusio quasi mantrico della radio, dalle sue voci carezzevoli. Forse, anzi – senza forse - non sentivo neanche cosa dicessero, ma quella copertina sopra alla mia anima nevrotica mi si addossava bene e ciò bastava. Una delle mie poche conquiste con l’esperienza della vita è di godermi i momenti provvisori di benessere senza perdere tempo, riducendone ulteriormente la già breve durata, a cercare di capirne il segreto che quasi miracolosamente li ha resi possibili.
Ma il Paradiso spesso è l’anticamera dell’Inferno e così accadde. Concentrandomi meglio udii che c’era Culicchia che parlava del rispetto che Berlino Est riserva agli autori, tanto che alla presentazione di un libro i clienti devono pagare un biglietto, i cui proventi finiscono un po’ nelle tasche dell’autore stesso ed un po’ in quelle della libreria, o quello che è, che si è fatto carico di promuovere l’evento. Il solito incazzume, con me clemente fino a qualche attimo prima, con la stessa inaudita violenza di un tornado, si abbattè sul mio fragile equilibrio umor-paturn -psicologico, intunnellandomi in una galleria di frustrazioni e di rivalse irrisolvibili.
Ma comeeeeeeeeeeeeeeeee? Culicchia che lamenta un mancato riguardo verso gli scrittori, quando è proprio lui ad essere, inspiegabilmente, uno degli anneritori di carta più omaggiati, adorati, ossequiati, guardati e ragguardati, considerati a priori (e per qualsiasi cosa dica o faccia), che ci siano in Torino?
Uno che, quando scrive qualcosa, gli regalano tre vetrine della Fnac. Uno che lo chiamano, durante i farsa- eventi sotto la Mole, a parlare dei torinesi e della torinesità, quando è lui stesso a non essere torinese purosangue ma di origini siciliane. Non è razzismo! Ma a me, polentone - vero taurino doc, non chiamerebbero mai per decantare l’orgoglio siciliano, la riservatezza sarda o qualsiasi altra caratteristica caratteriale di una precisa popolazione a cui non appartengo, o ci appartengo, geneticamente, da troppo poco tempo per garantirne una giusta descrizione.
Culicchia rappresenta il tipico caso del successo “boh?”. Cresciuto, e qui non è colpa sua, col marciume del premio Grinzane, si avvale di un riscontro mediatico assolutamente immotivato. Dopo aver mosso i primi passi sui tappeti di casa Soria è riuscito ad accedere nei palazzi giusti, quelli che contano, quelli dai cui uffici si dettano le leggi del cultur-business subalpino. Sia ben chiaro, stesse scale che godrei a salire anche io me ne dessero la possibilità, a patto che non debba ruffianeggiarmi nessuno. Curioso come sono, ho letto molte cose sue e sono certo nel non considerarlo un mostro di bravura. Lo so, io non faccio testo nel dichiararlo, ma - mi si creda - le belle penne (parole spesso usate dal suo zietto ed amichetto Gramellini) sono ben altre.
Quindi, almeno, taccia (e ringrazi). Tutto con rispetto, neh…
Livio Cepollina