domenica 14 luglio 2013

DARE SEMPRE IL GIUSTO

DARE SEMPRE IL GIUSTO

La mattina mi sveglio sempre esattamente cinque minuti prima che scattino i tre allarmi. Un’apprensione ormai interiorizzata, classificata - dai moderni strizzacape – come sindrome di tipo geneticansioso. Paturnia che dovrei combattere con l’abolizione di quelle inutili sveglie, tanto sono anni che mi alzo prima che inizino a suonare. Ma, il rinunciare ad impostarle, rappresenterebbe una sfida troppo carica emotivamente che m’incute terrore solamente ad immaginarla. Due dei tre allarmi suonano dai due cellulari sopra al letto, mentre il terzo parte da un altro cellulare vicino alla porta di casa, posizionato volutamente lontano, in modo da costringermi, fossi rimasto a letto (ma quando mai …), ad alzarmi per andarlo a spegnere ed il tutto prima che la vicina - tipo David Copperfield - attraversi il muro/sottiletta che divide i nostri alloggi e venga a spegnere me definitivamente. Dopo essermi alzato, ormai superata da anni la fase PERCHÉ/CHISONO/MACHIMELOFAFA’, mi scolo un bicchiere di succo di frutta ed un altro di latte di soia gusto malto, praticamente un finto Nesquik che forse dovrebbe far bene ma sono solo sicuro sul fatto che faccia quasi schifo. Dopo questo cocktail di gusti alquanto azzardato, atto più che altro a placare la furia omicida del mio alito, in soli venticinque minuti,dopo una barba con lama solo andata ed un bagno cocco vanigliato, sono le braccia dell’accappatoio ad avvolgermi e non più quelle dell’ormai lontano Morfeo. Il vestimento è veloce, gli abiti da indossare me li sono già preparati la sera prima, un po’ come facevano gli scolaretti (quelli bravi) di una volta, con la preparazione della cartella, carte assorbenti comprese. Ritmi frenetici, tre quarti d’ora sacrificati al sonno, per ritagliarmi quella porzione della giornata che adoro: la colazione al bar, con i miei giornali e con le mie mille agendine sulle quali annoto quelli che sono i propositi nelle ore che seguiranno, spesso pensati (o sognati) alla notte che si andranno ad aggiungere agli altri mille già programmati il giorno precedente ed in più abbozzo le ciofeche che molti di voi, ahimè per voi, leggono sui vari posti dove scrivo. Devo essere sincero, l’approccio alla tecnologia l’ho sostenuto da tempo, gli appunti li riporto su tutti gli aggeggi hi-tech possibili, tablet, smartphone, coadiuvandomi anche di complessi programmi che il mio amico del cuore, uno che fa volontariato di assistenza informatica ai cerebradipi come me, mi installa e tenta di spiegarmi dettagliatamente, ma – ditemi ciò che vi pare - il vedere annerire una paginetta bianca dall’inchiostro della penna mossa dalle mie manuzze, mi fornisce una garanzia ed un senso di gratificazione che non hanno eguali. Fatto sta che quel momento è sacrosanto e guai a togliermelo. La mia domenica mattina che non si differenzia dalle altre mie mattine, siccome la torrefazione dove mi reco normalmente è chiusa, me la prendo un po’ più con calma e vado in cerca di altri paradisi.
Quest’oggi è toccato ad uno dei locali più prestigiosi della mia città, in centro, dove c’è da fare un leasing per prenderti un caffè ed una brioche e se non hai un alloggio di proprietà o dei parenti industriali che ti fanno da garanti, la bottiglietta dell’acqua te la puoi scordare, non te la fanno neanche vedere.
Ma il dramma non è nel fatto che il locale X sia esageratamente costoso, ma che non ti dia quel servizio di cui avresti diritto con i soldi che ti chiedono di tirare fuori. Mi sta benissimo che ci siano persone o strutture che esigano una quantità superiore di soldi basta che ci sia qualcosa di superiore che ne giustifichi, appunto, il “di più”. Sicuramente non sono sufficienti le cameriere con l’abitino stirato o i soffitti con gli affreschi. Esigo che i saluti vengano fatti come si devono fare, che le bottigliette d’acqua vengano aperte davanti ai miei occhi, che il piattino sia più grande della brioche che contiene, che la stessa persona che mi prende la brioche con le microsalviette da perizoma (e quindi a mani nude) poi non prenda i soldi lerci dalla cassa per darmi il resto, che se arriva il cirimimmo in canottiera e si mette a gridare lo rimuoviate (meglio se lo sopprimete) a costo di chiamare la Polizia o l’Aci, che il bagno splenda e, anche se arrivasse un’intera scolaresca con il virus della dissenteria, il bagno continui a splendere fra un’evacuazione e l’altra, che se ho voglia di consumare qualcos’altro non debba essere io a fare gesti dalla sedia o attendere che smettiate di parlare di quel pirla di Valentino Rossi, ma che abbiate voi quello stato di allerta professionale che vi indirizzi in anticipo verso eventuali nuove richieste dei clienti, che le briciole del toast mangiato dal vicino di tavolo vengano rimosse nel giro di un paio di minuti prima che colombi - formiche e tutta l’Arca di Noè mi vengano a tenere compagnia. Ecco, se soddisfate tutte queste richieste avete tutti i diritti, entro i confini della legalità e dell’eticità, di chiedere ciò che vi pare ed io ve lo darò più che volentieri. Se ho, dò volentieri e se non posso permettermi di dare, rinuncio a quel tipo di avere. Ma, se nel momento che credevo di avere - non ho, magari quella volta dò lo stesso (sono un signore e vi lascio anche la mancia) ma poi non vi darò più. L’ultima parte è un po’ “contorta”, ma … il “dolce”, seppur non me l’abbiate chiesto, ve l’omaggio e … quindi direi che vada tutto bene, vi ho dato perfino di più di quello che avrei dovuto darvi …
Livio Cepollina